Ma non è una novità assoluta; la mono version dell’album “barrettiano” dei Pink Floyd era già uscita nel 2018 in tiratura limitata in occasione del Record Store Day. Dunque, l’edizione 2022 si differenzia – e forse si giustifica – per la tiratura, che non è limitata.
Altra differenza è nella grafica di copertina. Bellissima ed originale quella 2018, con un innovativo packaging; invece la nuovissima stampa 2022 presenta l’artwork originale dell’album.
La copertina del 1967 presenta uno scatto del fotografo Vic Singh, realizzato attraverso una lente prismatica che gli aveva regalato George Harrison dei Beatles. Quell’obiettivo è stato esposto a “Their Mortal Remains”, la mostra itinerante sui Pink Floyd di recente chiusa a Los Angeles.
Nel 1967 “The Piper at the Gates of Dawn” fu prodotto da Norman ‘Hurricane’ Smith, “imposto” ai Pink Floyd dalla casa discografica EMI dopo la sottoscrizione del contratto. La band avrebbe voluto lavorare all’album con Joe Boyd, produttore dei primi due singoli “Arnold Layne” e “See Emily Play”; ma dovette cedere al diktat della EMI.
E così il 21 febbraio 1967, nello studio 3 degli Abbey Road Studios, i Pink Floyd cominciarono le registrazioni dell’album d’esordio lavorando sotto le direzione di ‘Hurricane’ Smith sul brano “Matilda Mother”. Contemporaneamente nelle altre sale, i Beatles incidevano “Fixing a Hole” (per “Sgt. Pepper’s”) e i Pretty Things lavoravano a “S.F. Sorrow”, il primo concept album della storia del rock.
Estratto da Ondamuscale, per leggere l'articolo completo clicca QUI