Nancy Sinatra: «Grazie a Lana Del Rey la gente ricorda le mie canzoni»

By editorial board on Gennaio 26, 2021

Pochi giorni prima della pubblicazione dell'antologia 'Start Walkin' 1965-1976' la regina del pop anni '60 racconta l’incontro con Hazlewood, la scoperta della minigonna, l’attivismo, il rapporto col padre

Nancy Sinatra non aveva intenzione di ricantare le sue vecchie hit. Dopo aver dominato la scena pop anni ’60 con classici come These Boots Are Made for Walkin’ e Bang Bang, ha lasciato l’industria discografica per dedicarsi ai suoi figli e all’attivismo sociale.

Estratto dalla edizione italiana di Rolling Stone, per leggere tutto l'articolo clicca QUI

All’inizio degli anni 2000 ha smesso di andare in tour, ma qualche volta è tornata in studio di registrazione. «Non avevo un agente, non c’era chi mi promuoveva», dice. «E ne hai bisogno se sei un’artista che è stata famosa in passato. Serve qualcuno che ti rappresenti, che organizzi le cose. Io quella figura non l’avevo. E così, col passare degli anni, la mia popolarità è andata esaurendosi».

Adesso che ha 80 anni, però, Nancy Sinatra ha qualcuno che si occupa di lei: la figlia Amanda Erlinger, che ha proposto alla madre di mettere in piedi un’antologia dei pezzi pubblicati a partire da metà degli anni ’60, quando è uscita dall’ombra del padre Frank con These Boots Are Made for Walkin’. Era una delle tante canzoni brillanti scritte con Lee Hazlewood – tra cui Some Velvet Morning e You Only Live Twice – che hanno influenzato chiunque, dai Sonic Youth a Lana Del Rey.

"I primi pezzi hanno venduto abbastanza da farmi restare nell’etichetta. Poi non vendevano più, rischiavo di essere scaricata, e mi hanno detto: «Sai che c’è? Lavorerai con Lee Hazlewood»."

 

Lui ha cambiato tutto. Faceva finta di essere un bifolco, un ignorante, ma in realtà aveva studiato molto. Era un veterano dell’esercito. Una persona di mondo che sapeva quello che stava facendo. Nei miei dischi tirava fuori quello che definiva il dumb sound. Dumb stava per semplice, non complicato. Consisteva nella sezione ritmica, basso e batteria, e tre chitarre. E ogni cosa è cambiata per me.

Ha scritto These Boots Are Made for Walkin’. È vero che doveva cantarla lui, all’inizio?
È vero. E io gli ho detto la verità: farla cantare a un uomo non era granché, suonava male, quella era una canzone da dare a una ragazza. Lui ha capito che avevo ragione.



Il tuo stile, con la minigonna e il maglione, è diventato incredibilmente influente. Com’è nato? 

Durante un viaggio a Londra. Sono andata a Carnaby Street, all’epoca era lì che si faceva shopping, e c’era un negozio che si chiamava Mary Quant. È lì che ho visto le prime minigonne. Non mi era mai capitato. Negli Stati Uniti non c’era niente del genere. E sapevo che sarebbero andate di moda. Io non avevo vestiti del genere, usavo solo lunghi maglioni. Nel video di Boots c’è il mio primo tentativo. Anche nella copertina di How Does That Grab You? avevo un maglione lungo. È diventato abbastanza iconico. Credo che fosse perché erano diversi, osavano, e si avvicinavano a quella che sarebbe diventata la minigonna.

Qual è il miglior consiglio che hai ricevuto all’inizio della tua carriera? 

Beh, mio padre era uno bravo, sai? Mi ha consigliato di possedere i miei master. Ha fondato la Reprise, la sua etichetta, perché con la Capitol non poteva farlo. E ha fatto in modo che tutti gli artisti della Reprise mantenessero la proprietà dei master, dopo un certo periodo di tempo. Ho sentito che quelli di Taylor Swift sono stati venduti un’altra volta. È una vergogna. Ecco cosa direi ai giovani: non disperate, coltivate i vostri sogni e non lasciate che nessuno ve li porti via.

 

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