Paolo Zaccagnini: "La musica di oggi non esiste. Il passato? Irripetibile. I paragoni? Da idioti»

By editorial board on Settembre 27, 2022

Da Dublino, P. Zac parla con Rolling Stone da dove ci racconta   aneddoti su Lou Reed, Madonna, Springsteen. Storie di un mondo e di un giornalismo che non torneranno più

"Vuoi intervistarmi per dimostrare che non sono dipartito?". La risposta è no, a scanso di equivoci, e la battuta dimostra, se ce ne fosse bisogno, che Paolo Zaccagnini è più vivo che mai e lotta insieme a noi.


A Roma non vivi più, ma non mi dirai che hai smesso di tifare per i giallorossi…
Vuoi che riattacchi il telefono?


Le foto di apertura sono di Andrea Scarpa, e dell'archivio privato di Paolo Zaccagnini. Articolo curato da Alex Saccomano

Si è  assentato per una decina d’anni. A causa di una malattia, la sclerosi multipla, che lo costringe su una sedia a rotelle. Ma soprattutto perché il mondo che ha vissuto in prima persona e raccontato dalle pagine del Messaggero si è ormai dissolto. Questo, però, non vuol dire che il critico musicale più anticonformista d’Italia sia diventato inutile, anzi. i suoi sferzanti giudizi sono più necessari che mai. Così  Rolling Stone lo ha contattato a Dublino, dove vive da tempo con la moglie  (Intervista completa su Rolling Stone)

 

Come si diventa amici di Lou Reed?
Ehhh, credo di essere stato uno dei pochissimi. Io sono strano, ma lui era molto più strano. A mia moglie diceva sempre: «Guarda che tuo marito è un toro… he’s a bull…». Eravamo talmente legati che lo chiamai quando mi diagnosticarono la sclerosi. Mi disse: «Il prima possibile vieni da me a New York». Presi il coraggio a due mani e poco prima di Natale lo raggiunsi. Una mattina andai a casa sua, mi mise su una sedia di cuoio che ricordava i sedili delle Harley-Davidson e parlammo per quattro ore mentre io piangevo come un bambino. Mi raccontò della cugina con una malattia come la mia, di un altro amico che aveva aiutato, fece chiamate a dottori e mi passò vari indirizzi.

E tu ti affidasti a quelle cure?
Neanche per sogno, in America ti spellano vivo e non avevo abbastanza soldi. Per fare qualcosa con quei dottori ci volevano i miliardi.

Hai detto che tu sei strano, ma lui lo era molto di più. Cosa intendi?
Non posso raccontare di droga perché con me non beveva nemmeno. Alle feste mi chiedeva di mettergli il vino nel bicchiere così nessuno glielo riempiva. Un episodio simpatico è quando mi spinse a prendere il computer: «Dai, ce l’hanno tutti Paolo». Vabbè, prendiamo questo computer. Qualche tempo dopo vado a Londra alla presentazione del suo album New York. Mi siedo a un tavolino, faccio domande, scrivo sulla tastiera, finché non arriva la sua discografica: «Lou voleva dirti che è contento che hai il computer, ma preferirebbe se ora scrivessi normalmente». Come normalmente? «Con carta e penna». Ecco, forse però quello che ci univa non era la musica…

Un altro tuo amico era Bruce Springsteen.
Sì, ma gente come Madonna, Bono e The Edge degli U2 o Springsteen da quando sono in pensione non li sento più. Finché ero utile bene, poi sono spariti tutti. Pensa che Steven Van Zandt mi chiamava «mio fratello». Ma finito di scrivere è finita l’amicizia. Capita, però ho avuto la fortuna di avere grandi amici, come Lou Reed, Joe Cocker, George Harrison, Annie Lennox, Rod Stewart.

Springsteen ti dedicò anche una canzone dal palco.
Ho visto tantissimi suoi concerti, in Europa e in America, ho conosciuto la madre, la zia, i figli. Lui è uno di quelli che ha una certa età e vuole continuare a sentirsi giovane, ma ‘ndo vai? Anch’io da ragazzino ero uno dei migliori cinque corridori italiani, ma poi ho smesso.

Gli consiglieresti di darsi una calmata?
Non mi permetto, ma tra noi si è rotto qualcosa quando gli feci notare una cosa. Nel disco Working on a Dream c’è il pezzo Outlaw Pete. Me lo fanno sentire, mi chiedono se mi piace, ma io purtroppo gli rispondo che mi ricorda un altro brano. E cioè I Was Made for Lovin’ You dei Kiss. Ma come? Si stupiscono… Dopo anche Gene Simmons e soci hanno spiegato di non aver fatto causa a Springsteen soltanto perché suoi estimatori.

 

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